30 luglio 2012

TAPPA N°7, Il concerto

La giovane violinista Anne-Marie trova nella sua camera una lettera lasciatale dalla donna che l'ha cresciuta e che ora è la sua agente, Guylène. La donna vuole convincerla a suonare il concerto di Čajkovskij, le ha lasciato lo spartito di Lea, che lo eseguì trent'anni prima. E forse, continua, al termine del concerto riuscirà a scoprire la verità sui suoi genitori, che non ha mai conosciuto. Anne-Marie dà un'occhiata allo spartito, poi mette sul giradischi un vinile di Andreï Filipov, il direttore d'orchestra a cui ha detto no. Abbandonata sulla poltrona, Anne-Marie ascolta in solitudine la musica. Sembra riflettere. Poi si decide ad alzarsi, raggiunge il telefono e compone un numero: ha accettato, suonerà il concerto di Čajkovskij.


Proprio nel momento in cui la miracolosa riuscita del concerto al Théâtre du Châtelet sembra dover fallire, quando Andreï Filipov ha già rinunciato al sogno di potersi esibire con la giovane e talentuosa Anne-Marie, ovvero quando le parole si sono rivelate insufficienti e troppo difficili per spiegare storie lontane nel tempo, ecco che arriva la musica in soccorso a salvare il tutto.
Bastano i dettagli di uno spartito e di un vinile, la puntina del giradischi, l'avvicinamento lento della macchina da presa verso Anne-Marie, vista di spalle assorta nell'ascolto, come una crescente ondata di note e armonie sul punto finalmente di conquistarla.

"Il concerto" di Radu Mihăileanu è un autentico elogio alla musica, raccontata nelle sue sfaccettature e funzioni più diverse e sempre sinonimo di motore di vita.
La musica nel film è il collante di amicizie lunghe decenni, come quella tra i membri della sgangherata banda di ex musicisti che resero celebre il Bolchoi di Mosca e finiti a svolgere le mansioni più disparate, chi autista di ambulanze e chi doppiatore di film porno. La musica riscopre anche sogni mai davvero sopiti, come quello di Andreï Filipov di tornare alla ribalta dirigendo per l'ultima volta quel concerto interrotto dal Partito Comunista trent'anni prima, quando era una star internazionale: il concerto per violino e orchestra di Čajkovskij.


"Il concerto" è così il traghettatore ideale e appassionato del potente valore universale di cui è dotata la musica, un valore che si dimostra in grado di superare persino quello delle parole, spesso ingannatrici, imprecise, inadatte. Il film, infatti, porta avanti una sottotrama che coinvolge i personaggi principali, Andreï e Sacha, aldilà delle complicate vicende legate al viaggio dalla Russia alla Francia verso il fatidico concerto del riscatto.

Poco alla volta s'intuisce la presenza scomoda di un triste episodio del passato che è stato tenuto segreto per molto tempo. Un episodio che ha fortemente a che fare con Parigi, con quel concerto e con Anne-Marie, una delle migliori e più giovani musiciste tanto voluta da Andreï per il suo ritorno sul palco.
Un episodio però difficile da raccontare, che tuttavia, se solo le parole fossero materia più facile, saprebbe far luce su molti nodi cruciali delle vite dei personaggi, liberandoli definitivamente da prolungati sensi di colpa, è il caso di Andreï, o dall'ignoto in cui sono sprofondate le origini familiari di Anne-Marie.

E allora eccola, la musica, venire in soccorso alla storia. Fiduciosa nella  sua dote salvifica, finalmente convinta, Anne-Marie solleva la cornetta e accetta di prendere parte al concerto con il suo idolo, il maestro Andreï Filipov. Quella finale è una scena lunga, un crescendo che copre l'intera durata dell'esecuzione. Lui si volta a guardarla spesso, la deve dirigere a ritmo di bacchetta, ma nel frattempo, con lo stratagemma filmico della voce fuori campo, le racconta, e racconta anche a noi pubblico, quel segreto sotterrato troppo a lungo: trent'anni prima, Andreï fu responsabile della cattura dei genitori della giovane donna. Loro erano musicisti della stessa orchestra e soprattutto Lea, la madre, era la sua musa ispiratrice. Erano però colpevoli di essere ebrei e furono deportati e morirono nel gelo e nella pazzia.


Il film si conclude quando l'ultima nota lascia spazio all'applauso scrosciante del pubblico del Châtelet in delirio. Infine l'abbraccio tra il direttore d'orchestra e la violinista fissato nel fermo-immagine. Tutto è stato finalmente spiegato, il cerchio si chiude con tutti i fili della storia rientrati in ordine nello stesso gomitolo.
In fondo i due non si sono nemmeno parlati. E' bastato il trasporto della musica, del linguaggio non verbale più puro e chiaro che ci sia.

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