11 luglio 2012

TAPPA N°4, Into Paradiso

Alfonso è sotto shock dopo aver assistito all'omicidio giù in strada. Al buio del rifugio che ha trovato in cima a un edificio fatiscente, parla al telefono col suo mandante, il politico Vincenzo Cacace. Alfonso si guarda attorno, vede cose strane come statuette di pastori e angioletti. Prova a fornire delle indicazioni mentre esce all'esterno. Si trova su un tetto, da un lato non può affacciarsi perchè ci sono "quelli", dall'altro invece... Alfonso si ferma e smette di parlare per un attimo. Nel cielo notturno davanti ai suoi occhi compaiono come per magia palloni illuminati volanti, che salgono lentamente dalla strada. Vincenzo, dall'altro capo del telefono, non capisce cosa stia succedendo, poi cade la linea. Alfonso rimane ad osservare lo spettacolo, in silenzio.


Della solita Napoli ci sono poche tracce in "Into Paradiso". Geograficamente parlando, la città sembra non esistere, fatta invece di microcosmi isolati come l'edificio della comunità srilankese e del suo cortile festante, oppure l'enorme spazio vuoto, freddo, dove ha base la cosca mafiosa.
I personaggi che popolano la storia assumono sfaccettature e spessore tanto più sono distanti dall'immagine tipica della città, quella che spesso si conosce dalla cronaca, con i boss e i loro fedeli seguaci dal grilletto facile. Questi sono infatti tratteggiati come buffe macchiette che dovrebbero incutere timore con quelle facce torve e occhialoni scuri da malvivente, ma che in fondo hanno una vocina stridula, si addormentano accasciandosi uno sull'altro e fanno fatica a raggiungere l'ultimo piano di un palazzo perché un po' sovrappeso.
I protagonisti della Napoli del film sono invece loro, i membri della comunità srilankese che finiscono in qualche modo coinvolti nelle vicende del personaggio principale, Alfonso D'Onofrio. Un inaspettato ribaltamento di prospettiva che fa di questa fetta di città, silenziosa e ai margini, l'elemento vitale della storia. Ci sono i colorati riti buddisti racchiusi tra le mura di un cortile, i rapporti teneri di uomini con le proprie donne ma anche con cugini che arrivano dal paese natale pieni di aspettative per l'Italia, il lavoro al servizio di dimore di ricche signore capricciose.

A essere accolto come un clandestino tra le braccia della comunità srilankese è proprio un autoctono di Napoli, il protagonista Alfonso D'Onofrio, in fuga da un fattaccio che lo ha visto testimone. E quello che colpisce, oltre all'inedito focus puntato su chi di solito sta ai margini, è come quest'uomo dai modi impacciati, la testa sulle nuvole e senza alcun reale legame con chi lo circonda, sembri in fondo a suo agio nella convivenza forzata con persone da lui tanto distanti.


Il mondo che invade per sbaglio nel tentativo di salvarsi la pelle diventa l'ambiente ideale per la realizzazione delle sue fantasie, del suo benessere. Alfonso si atteggia finalmente da duro quando riesce a tenere in ostaggio l'uomo che l'ha incastrato mettendolo in pericolo, lo scaltro Cacace. Lo lega a una sedia, lo imbavaglia e ogni tanto lo minaccia con la pistola. Alfonso fa il romantico con Giacinta, la fa danzare e in un viaggio mentale tutto suo addirittura la sposa con una cerimonia tipica, tutta fiori e abiti e pendagli preziosi. Alfonso pensa di poter confessare la propria innocenza immaginando un ufficio di commissariato improvvisato proprio sul tetto nel quale si sta rifugiando.

Lui, ricercatore universitario fino a poco tempo prima, passava le ore in laboratorio al microscopio ad osservare i movimenti delle cellule che si separano, poi si uniscono e si fondono, a studiare come le minuscole particelle che ci compongono comunicano e cooperano tra di loro.
Finalmente, in quella Napoli nascosta, anche Alfonso sembra aver trovato la strada per sentirsi utile e vivo per sé e per una comunità. Una strada che assomiglia al passaggio dentro un sogno, un piccolo paradiso dove il cielo per qualche attimo non è blu soltanto, ma si riempie di luci volanti.


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